Ho ripreso a lavorare quando il Piccolò aveva da poco compiuto i 9 mesi. Avevo terminato la cosiddetta
esogestazione: dopo 9 mesi in pancia, mi sono goduta anche i 9 mesi fuori e siamo arrivati assieme al momento del distacco con un po’ più di consapevolezza e serenità (a dire il vero proprio poca, specie agli inizi).
Prima che arrivasse il Piccolò ero una pura sostenitrice della teoria “un figlio non può stravolgerti una vita”. Ero convinta che l’arrivo di un pargolo fosse questione di pura gestione della quotidianità e che sarebbe bastata semplicemente una buona organizzazione per far quadrare orari tempi e bisogni, senza dover rinunciare a nulla delle vecchie abitudini.
Specialmente senza dover rinunciare alla “carriera”. Ebbene sì, anche io facevo parte della famigerata schiera delle donne milanesi in tailleur e scarpe tacco 12, truccate e tirate di tutto punto dalle 8 alle 22, senza un capello fuori posto e con email/telefono/sms a portata di mano sempre e comunque … quelle che avevano sgomitato per ritagliarsi un loro spazio, fatto sempre di più del richiesto/dovuto, per essere considerate per lo meno all’altezza del maschio di fianco, quelle uscite dall’università a 23 anni per correre verso un futuro di successi e gratificazioni professionali, quelle con un biglietto di treno/aero/taxi sempre a disposizione, quelle alla guida di un’auto aziendale super accessoriata sulle autostrade del Paese…sì, ero una di
quelle, le “DONNE IN CARRIERA”!
Fiera ed orgogliosa, Dirigente nella Consulenza a “soli” 29 anni - non ancora compiuti.
E guai a chi toccava il mio mondo. Guai a chi avesse solo pensato di prospettarmi alternative differenti….
MA (e c’è sempre un MA nella vita…) in tutto il mio Programmare, Organizzare, Pianificare, Quadrare, non avevo fatto i conti con un unico, subdolo, inestimabile elemento:
la dipendenza.
Sì, potevo organizzarmi e destreggiarmi tra nido e baby sitter, Zie pronte al soccorso e Nonni pronti alla trasferta, potevo far quadrare orari di poppate e meeting con clienti, potevo programmare ed incastrare il rientro del Consorte con le mie uscite….
MA non basta. E te ne rendi conto solo quando ci sei dentro. O meglio, io me ne sono resa conto solo quando ho avuto per la prima volta il Piccolò appoggiato sul mio petto…
Non avevo fatto i conti con la difficoltà del distacco, con la necessità di sentire il suo odore, con il senso di vuoto assoluto in sua assenza. Non avevo fatto i conti con un mondo che cambia di sua iniziativa, senza che tu te ne accorga, senza averlo chiesto, voluto, programmato. Non avevo fatto i conti con il mio diventare Mamma, oltre che Donna e Moglie.
Ed eccomi qui: adesso sono una “DONNA IN CORRIERA”.
Prendo il treno al mattino alle 6.30, pelle candida e immacolata senza ombra di trucco, possibilmente con ai piedi delle ballerine o comunque scarpe comode perché al ritorno devo andare a riprendere il pargolo.
Arrivo in ufficio alle 7.30 e attendo con ansia le 16.30, quando posso ritornare sul mio treno destinazione “la casa nella prateria” per coccolarmi il Piccolò, andare in giro in bicicletta, passare dal fornaio per il panino caldo, giocare nel parco sull’altalena, correre a fare il
cik chak –
il bagnetto – poi ‘a Pappa –
la cena – i giochi con Paparozzo - che nel frattempo rientra da Milanocity - le favolette della buona notte, le coccole, il latte caldo e “sogni d’oro, amore mio”……